Questo soggetto nasce da una storia vera.
Il mio amico Mario Bertin ha vissuto la bella, intensa, intricata esperienza, poi raccontata nel libro ‘E lo chiamarono Joao’ (Gruppo Abele edizioni) dell’adozione a distanza, a Rio, di un ragazzino di favela. Mario non si limitò a mandare denaro e scrivere sporadiche lettere. Si reca con la moglie a Rio (dopo aver persino studiato il portoghese per poter comunicare col ragazzo!), incontra Joao (che nel frattempo aveva messo incinta la giovanissima fidanzata Valdinha), stringe un’amicizia, regala loro una casetta di proprietà nella loro favela. Ma tornato in Italia viene informato che Joao è sparito, lasciando sola Valdinha e il figlioletto appena nato. Poi Joao si rifà vivo. Torna a vivere con Valdinha. Lei resta di nuovo incinta. Ma Joao sparisce nuovamente prima della nascita del secondo figlio. E in questa storia entro provvisoriamente anch’io.
Trovandomi in Brasile per la presentazione di un mio film al festival del cinema di San Paolo, colgo l’occasione per una deviazione a Rio e, su proposta di Mario, coadiuvato dal centro Macondo, vado a cercare Valdinha e a chiedere notizie di Joao. Incontro la ragazza e i suoi due bambini piccoli piccoli in un parcheggio multipiani abbandonato: lì vive Valdinha coi figli e altre donne e bambini. Un colpo al cuore. Di Joao nessuna notizia. Qualcuno dice di averlo avvistato in un’altra favela con un’altra ragazza, a sua volta incinta. Ma i ragazzi della comunità sono andati un paio di volte a cercarlo ma senza rintracciarlo. Torno in Italia. Di Joao nemmeno Mario ebbe più notizie. Fin qui la storia vera di Joao adottato da Mario.
Da questa storia vera ho preso lo spunto per la ‘mia’ storia.
Occorre ricordare che durante il mio viaggio a Rio in cerca di Valdinha e Joao avevo visitato, accompagnato dai ragazzi della comunità e dal centro Macondo di padre Stoppiglia, due favelas da loro seguite con attività sociali, formative, di animazione. Parlai loro esplicitamente del mio sogno di raccontare la storia di Joao e Valdinha. Mi dichiararono grande disponibilità per girare nelle loro favelas, e per poter trovare due ragazzi ‘veri’ per interpretare la mia storia. Il mio sogno era ed è, infatti, di trovare una vera coppia di giovanissimi, con lei davvero incinta al sesto mese, e poter girare prima le scene con lei incinta, poi il parto autentico, e poi le scene ‘senza pancione’. È importante ricordare, come conferma anche Bruno Stroppiana della Skylight di Rio coproduttrice del nostro film, che già moltissimi altri sono stati girati sulle favelas brasiliane. Ma per opere sempre di tipo ‘tremendista’: raccontando le violenze spaventose e la sociologia disperata di questi esseri umani. La nostra storia è invece una storia d’amore. Inizialmente positiva, e infine dolorosa. Niente ‘tremendismo’, niente sociologia strappalacrime o strappaindignazione, niente lista di violenze inenarrabili, ma al contrario l’occasione per raccontare le favelas attraverso una persona che ama e un’altra che forse non ama più. Successivamente per esigenze produttive, la storia è stata ambientata a Salvador De Bahia.
Regia: Aurelio Grimaldi
una co-produzione Paco Cinematografica – Sereia Filmes realizzata con il contributo della Direzione Generale per il Cinema
Jessica Duarte
Paulo Sérgio
Lúcio Lima
Everton Wallace
con la partecipazione di Lina Sastri e Luis Miranda
Direttore della Fotografia: Alberto Iannuzzi
Scenografia: Carol Tanajura
Montaggio: Giuseppe Pagano
Delegato di Produzione: Massimo Monachini
Prodotto da Isabella Cocuzza e Arturo Paglia